Pesca al Cavedano. Sessione Solitaria in Torrente

Pesca alla Bolognese 5

Il ripido sentiero è quasi terminato e in cima alla collina c’è l’auto ad aspettarmi. E’ ormai passata mezz’ora dal tramonto e il ritorno alla macchina è stato più lungo e faticoso del previsto, ma ne è valsa la pena: dopo la giornata appena trascorsa non ho solo bolognese e stivali da caricare in auto, ma anche una borsa colma di emozioni, da stipare gelosamente nel portabagagli del cuore.

Giro la chiave nel cruscotto con la mano ancora umida d’acqua di fiume, ingrano la marcia e, sollevando lentamente il piede dalla frizione, parto verso casa. Lo sguardo è fisso sulla strada, ma la mente vola: è persa a ripercorrere i momenti più belli e significativi di una giornata di pesca straordinaria, come a volerli incidere per sempre nella memoria.

E’ l’immagine di una verde valle con alte e ripide colline, solcata da un piccolo fiumiciattolo appenninico colmo di fresca acqua primaverile, che mi riporta all’inizio della giornata appena trascorsa.

La mattinata di lavoro, tra imprevisti e problemi irrisolvibili, è stata di quelle che lasciano il segno e la scelta di allontanarmi dai soliti posti “alla moda”, frequentati ogni giorno da folte schiere di pescatori desiderosi di confrontarsi con grossi cavedani e poderosi barbi, forati, riforati e ingrassati a suon di bigattini, è stata più che azzeccata.

Pesca alla Bolognese 1

Mi si para davanti un tratto di fiume selvaggio e tutto per me, sconosciuto ai più per via della scarsa accessibilità e abitato da autoctoni sospettosi e non abituati alla presenza umana: una sfida che non può fare altro che riempirmi di speranze e grandi aspettative.

Raggiungere quest'angolo di Paradiso, però, ha richiesto uno scotto non indifferente e i segni degli spini sulle mie braccia ne sono la prova; ma ora, circondato dal verde e con il fiume da seguire come sentiero, devo solo pensare a pescare.

Avere con me un’unica bolognese (impensabile, infatti, muoversi tra rovi e arbusti con qualcosa in più dello stretto necessario) mi obbliga a pensare ad una lenza che possa universalmente adattarsi alle numerose situazioni di pesca che, nel corso dei miei spostamenti, mi si presenteranno dinanzi.

Sono quasi al confine con il tratto di torrente adibito ad acque salmonicole ed è molto improbabile che a queste altezze, in questo piccolo corso d’acqua, possano esserci delle buche o dei tratti di fiume abbastanza grandi da ospitarmi per una mezza giornata di pesca.

Gli ambienti ristretti e l’alternarsi di piccole buche, piane e brevi raschi, suggeriscono di affidarsi ad una pesca itinerante e so per esperienza che dovrò spostarmi ogni qual volta l’attività dei guardinghi abitanti del fiume verrà meno.

Valutando la portata d’acqua che scende verso valle, scelgo un galleggiante da 0,75 grammi: so già che sarà troppo pesante per certe situazioni e troppo leggero per altre, mi permetterà, giocando con lo spostamento dei pallini, di adattarmi e ottimizzare la lenza a seconda delle varie necessità.

Pesca alla Bolognese 3

Dopo aver completato la montatura con un finale dello 0,08 e un amo senza ardiglione del numero 25, con la canna ancora chiusa mi sposto verso valle, cercando di camminare sempre sulla sponda per non sporcare l’acqua, evitando così di palesare anzitempo la mia presenza ai vigili pinnuti a cui sto andando incontro.

A differenza dello spinning in torrente, in cui è più indicato risalire i corsi d'acqua, per la pesca a passata è invece consigliabile scegliere la direzione opposta. Scendere verso valle con attenzione, infatti, dà il grande vantaggio di poter individuare da lontano i tratti di fiume più interessanti, evitando quindi di mettere in allarme i pesci col nostro passaggio e di sfruttare la corrente per far arrivare la lenza, con una passata molto naturale, nel punto di pesca.

Così procedendo, dopo aver sorpassato una lunga piana con pochissimo fondo e forte corrente, finalmente, grazie ad un enorme masso che fa da tappo al naturale fluire del fiume, trovo un'ansa più che interessante. L’acqua, quassù, ha veramente una gran fretta di arrivare al mare!

La corrente particolarmente turbolenta che investe il galleggiante, alla prima passata, ne è la conferma; eppure, anche se l’azione di pesca è così disturbata, il tappo affonda nettamente, portando via con sé qualche battito del mio cuore. E’ solo un piccolo vairone, ma non importa!

In posti del genere tutto deve essere ancora intimamente scoperto e tutto diventa una felice e stimolante novità: dall’impostazione della tattica di pesca al “senso dell’acqua”, che, nell’esplorare un tratto di fiume sconosciuto, dovrà portarmi dove sono i pesci, in un intrigante gioco di scelte che determineranno il buon esito della mia giornata alieutica.

Compio alcune passate per ottimizzare la profondità a cui dovrà lavorare la mia esca, evitando così di produrre dannosi tonfi con la sonda e, con molta attenzione, lancio in acqua una mezza dozzina di larve ad accompagnare l’inganno nel suo viaggio. Il galleggiante affonda un altro paio di volte, regalandomi la piccola gioia di qualche altro vairone, talmente vorace da aggredire la larva ancora prima del suo adagiarsi sul fondo. Poi, d’incanto, tutto si ferma.

Pesca alla Bolognese 2

La mia concentrazione aumenta: l’uscita dalla zona di pastura dei piccoli ciprinidi potrebbe indicare la presenza di qualche pesce di taglia entrato in competizione alimentare. Decido di compiere qualche tentativo aumentando leggermente la quantità di larve lanciate sfuse in corrente e il galleggiante, sul finire della passata, ha un breve sussulto. La ferrata è immediata come la reazione del pesce che, sorpreso quanto me, si getta con veemenza nel punto in cui la corrente è maggiore.

Cerco di ostacolarlo opponendo alle sue poderose testate la sola elasticità della canna: il grosso masso che forma la buca, infatti, è un ostacolo troppo vicino per pensare di far uscire anche solo qualche centimetro di filo dal mulinello. Mi impiglio con la cima della canna su di una fronda che avevo giudicato fuori portata, scivolo su una pietra della riva per cercare una posizione ottimale, ma alla fine porto a guadino un discreto cavedano. Incredibile!

E’ un pesce a occhio e croce di poco superiore al mezzo kg, eppure, per poterlo togliere dall’acqua, ho dovuto dare fondo a buona parte del mio repertorio! Il combattimento con il cavedano ha però lasciato il segno nella piccola buca, e come immaginavo, dopo aver catturato un altro paio di cavedani di taglia media, la totale assenza di mangiate mi costringe a spostarmi.

La giornata primaverile è gradevolissima e il fiume, dietro ad ogni angolo, mi riserva delle meravigliose sorprese. Mi imbatto in un largo e veloce raschio abitato da bellissime lasche, pesce ormai scomparso dal tratto di fiume più a valle, e in uno splendido rigiro d’acqua catturo, oltre a diversi cavedani e barbi nostrani, una bellissima fario, sicuramente arrivata in zona con qualche piena invernale. La pesca itinerante mi ha completamente irretito!

La continua ricerca di un punto ottimale dove far correre il galleggiante diventa una piacevole ossessione e nel mio peregrinare verso valle sono costretto più volte a ragionare sulle mie scelte per avere la meglio sugli scaltri abitanti di queste acque. Tutto è in continuo mutamento e quella che fino ad un attimo prima era una strategia vincente può trasformarsi improvvisamente in una pessima scelta.

Non sono solo la disposizione dei pallini, la lunghezza del finale o la portata del galleggiante a variare, ma è soprattutto il modo in cui guido la lenza, adattato ad ogni singolo ambiente e ai suoi abitanti, a fare veramente la differenza. A volte la “lettura” dell’acqua, ad un occhio attento e allenato, risulta semplice, ma non sempre è così.

Il pesce, dopo i rigori dell’inverno, sembra ormai ben distribuito su tutto il fiume e le numerose catture effettuate fin qui lo testimoniano, eppure la bellissima e lunga piana che sto ora affrontando sembra quasi disabitata. Sterili passate si consumano sotto il mio sguardo perplesso: sto facendo navigare il tappo in questa allegra corrente e l’azione di pesca è fluida e gradevole; sto perfino lanciando sotto la vegetazione riparia del fiume, praticamente in casa loro!

Cosa sto sbagliando? Ho smesso ormai da tempo di mentire a me stesso con la classica scusa del “qui non c’è pesce, meglio spostarsi”, così, dopo aver dato fondo senza successo a quasi tutto il mio repertorio tecnico, mi fermo un attimo a ragionare.

Provo ad osservare con più attenzione l’incedere della mia lenza tra i flutti e all’improvviso mi accorgo di un particolare che proprio non avevo notato: la corrente, omogenea fino a quasi la metà della piana, aumenta nel suo tratto finale solo in superficie prendendo una velocità maggiore rispetto a quella di profondità, facendosi così beffa dell’equilibrio della mia classica spallinata.

Avevo dato per scontato che sul finire della passata il galleggiante superasse il basso di lenza per il dragare della stessa sul fondo, ma la realtà dei fatti è ben diversa. Taglio d'impulso il filo appena sopra al galleggiante e rifaccio tutto da capo: il sole è ormai nascosto dalle cime più alte delle montagne e se voglio confermare la mia teoria, senza dovere poi percorrere il sentiero del ritorno al buio, devo sbrigarmi.

Pesca alla Bolognese 4

Scelgo un galleggiante da 0,50 g, poco più piccolo rispetto a quello che montavo in precedenza, ma a mio avviso più adatto a questo tratto di fiume, e comincio a pinzare piccoli pallini sulla bava. Stringo un piombino del numero 12 appena sopra l’asola, poi con soli pallini del numero 11 vado a formare tanti piccoli bulk così distanziati: a 20 cm un mini bulk formato da 2 pallini; a 15 cm un altro bulk simile al precedente, poi, sempre mantenendo la distanza di 15 cm, 3 bulk da 3 pallini e, a chiudere, un ultimo gruppo di 4 pallini praticamente sotto al galleggiante.

Così facendo ho creato una montatura leggermente superiore al metro, pari a poco più della profondità della piana, con una distribuzione di piombo atta a contrastare la forte corrente superficiale e ad equilibrare la velocità del galleggiante rispetto al basso di lenza.

Non ho più bisogno di trattenere troppo: ora ho una montatura più stabile da gestire e già dalle prime passate la lascio libera di svolgere il proprio compito, guidandola solo e semplicemente tenendo la lenza madre sollevata dalla superficie dell’acqua. La prima affondata arriva netta e proprio nel punto in cui la corrente cambia marcia, cogliendomi quasi impreparato.

Alzo gli occhi al cielo per guardare la vetta della canna piegata e mi permetto un respiro a pieni polmoni: il profumo della sera sul fiume si mescola al senso di appagamento che mi pervade, donandomi una pace e una serenità incomparabili. Dura poco, però!

L’adrenalina mi riporta immediatamente alla realtà, e nel tempo di un colpo di coda mi rendo conto che dall’altra parte della lenza sembra esserci qualcuno che venderà cara la pelle. Con la prima fuga il pesce mi trasmette al braccio tutta la sua mole e d’istinto abbasso la punta della canna verso l’acqua nel tentativo di rallentare la sua corsa verso la sponda opposta.

Pesca alla Bolognese 6

Riesco a fermarlo, trattenendolo al limite della tenuta del terminale, ma evito solo che raggiunga una delle tante scappatoie che il piccolo corso d’acqua offre al suo padrone di casa. Per sfuggirmi, il grosso pesce cambia completamente strategia e, abbandonando momentaneamente l’idea di puntare qualche ostacolo sommerso, si piazza sornione a centro corrente con tutta l’intenzione di rimanere in quella posizione grazie alla sua mole e alla resistenza offerta dall’acqua.

Non voglio forzarlo troppo, potrei invitarlo per sbaglio ad un “tutto per tutto” proprio ora che è nel pieno delle forze; così, lottando contro la frenesia che mi pervade, decido di aspettare con pazienza la prossima mossa del mio contendente.

La strategia dell’attesa dà i suoi frutti e qualche minuto dopo vedo salire verso la superficie un maestoso cavedano. Scuote la testa come a volermi dire che non si arrenderà mai, ma alla fine, dopo gli ultimi tentativi di fuga, è costretto alla resa.

Lo guardo tra le maglie del guadino e anche lì, tra le sbarre di quella temporanea prigione, non perde la sua regalità, mostrando una livrea argentea e immacolata degna di un Re. E’ un esemplare che supera abbondantemente il kg di peso ed è una taglia che, se rapportata alle dimensioni dell’ambiente in cui vive, ha dell’eccezionale.

Riprendere a pescare dopo una cattura simile, soprattutto all’imbrunire, suona quasi come uno schiaffo alla fortuna, ma non riesco proprio a fermarmi e così, a forza di ripetermi “solo un'ultima passata”, effettuo le ultime catture della giornata, tra le quali uno stupendo barbo nostrano, talmente bello da sembrare quasi dipinto: non posso proprio chiedere di più ad una delle giornate di pesca più belle della mia vita.

L’immagine dell’ultimo cavedano che torna libero tra le sue amate acque, in quella bellissima piana torrentizia, mi abbandona quando ormai sono sulla soglia del garage di casa. Oggi ho realizzato ciò che volevo, ragionando e mettendo in pratica quello che la mia esperienza e la voglia di far bene mi hanno suggerito: non sempre ci riesco, ma, quando succede, tutto diventa bello e indimenticabile come quel piccolo e sperduto Paradiso della pesca che mi ha reso, anche se solo per qualche ora, parte di se stesso.

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