Pesca nel Po - Generalità  e Pesci

Nasce dal Monviso e, con la complicità d’innumerevoli affluenti, si tuffa nel mare Adriatico dopo 652 Km formando il più grande ed esteso fiume italiano. Tanta imponenza e portata per un nome corto, umile e modesto, si chiama Po.

La fauna ittica del fiume è radicalmente mutata nel corso degli anni e oggi è composta quasi esclusivamente da pesci alloctoni fra i quali spicca il barbo europeo che, insieme alla carpa, costituisce lo zoccolo duro dei grandi ciprinidi grufolatori del fiume. Anche la pesca è mutata e si progressivamente adattata ai nuovi ospiti del Po sia nella tecnica sia nell’attrezzatura.

Questo spazio nasce proprio per analizzare le nuove possibilità, legate alla pesca sportiva, che il fiume offre, il tutto sulla scorta dell’esperienza accumulata dagli inglesi, maestri del ledgering, anche se andremo ad analizzare gli aspetti alieutici legati al basso corso del fiume, indicativamente il tratto che scorre a valle di Piacenza con particolare riguardo alle province di Ferrara e Rovigo, dove la morfologia del Po è la cosa più lontana possibile immaginabile da quelle dei fiumi inglesi.

La tendenza unanimemente riconosciuta come la più redditizia è quella di approcciarsi a una preda in modo specialistico, ecco il nascere del Carp fishing, del Barbel fishing, del Pike fishing e via discorrendo.

Specialistica perché, attraverso lo studio e la sperimentazione di esche e approcci, ci si pone l’obiettivo di selezionare prima la specie e poi la taglia di quello che vogliamo trovare dall’altra parte della lenza.

Nel mio caso il target non è un pesce in particolare ma un fiume “particolare”, con tutto quello che ci nuota dentro, dove la “specializzazione” sta nel selezionare solo la taglia del pesce, non certo la specie, anche se l’obiettivo principale è costituito da barbi e carpe.

Questa rubrica si propone proprio l’analisi della tecnica necessaria ad affrontare un fiume ben preciso, nel suo tratto finale, dove profondità, portata e forza della corrente impongono scelte ragionate: scelte nelle montature, nelle esche, negli accessori, nell’attrezzatura, nella pasturazione e nello studio e analisi degli spot più redditizi in base alla stagione e alle condizioni del fiume.

Vedremo, mese per mese, quali sono le scelte più indicate per affrontare con qualche probabilità di successo una simile massa d’acqua, senza dimenticare i problemi di accessibilità alle sponde e alla sicurezza in pesca, sicurezza per pesci e pescatore.

Detto questo “Po fishing” potrebbe essere la dicitura più adeguata, vale a dire un modo efficiente ed efficace per affrontare le imponenti e affascinanti acque del fiume in questione, una sorta di ledgering “anabolizzato” dove taglia e forza degli ipotetici avversari impongono la scelta di set up che riescano a coniugare divertimento e sportività, dove per “divertimento” si intende la priorità di assaporare ogni cattura, anche senza over, e per “sportività” si intende la necessità di affrontare il Po senza sotto dimensionamenti (mulinello-canna-filo-amo) che prolungherebbero troppo i combattimenti con grande stress per il pesce.

Ma quali sono le possibili prede nel Po fishing?

Innescando esche naturali, vale a dire lombrichi, orsetti, camole e soprattutto bigattini si può forare tutto quello che nuota e si nutre in Po. Se la nostra scelta cade su esche di questo tipo, viene a cadere uno dei cardini principali della pesca specialistica nel Grande Fiume, vale a dire la selezione della taglia del pescato.

Fuori dalla stagione invernale, dove il bigattino ha un senso logico in quanto non subisce il disturbo dei pesci più piccoli e trova nel grande apporto proteico la sua maggiore attrattiva, è solo un’esca dura e voluminosa che può selezionare la taglia del pesce stesso. Se pensiamo che il pesce bianco è attivo da marzo a ottobre e tolti i periodi out per le piene, la finestra temporale dove il bigattino può essere usato con successo è molto ridotta.

Su esche dure e/o voluminose tutti i pesci del Po possono mangiare, un pellet dippato e un’odorosa boilie attirano indifferentemente aspi, barbi, breme, carpe, siluri (in rigoroso ordine alfabetico), vediamo come distinguerli già dalla mangiata e dal modo di difendersi.

Il target principale è costituito dai grossi barbi europei, un ciprinide alloctono attivo tutto l’anno. La taglia media varia in relazione alla stagione e all’esca ma esemplari over tre sono tutt’altro che rari. Un barbo, seppur di medie dimensioni, si esibisce in mangiate da panico con pieghe decise e approcci ben evidenziati.


La difesa è strenua, portata tutta a stretto contatto del fondo con testate ben evidenti e frequenti ripartenze. Un avversario mai domo che da tutto in termine di forza e potenza tant’è che molto spesso siamo costretti a lunghe ossigenazioni prima di rilasciarlo. La mangiata è inconfondibile, una decisa vibrazione seguita da una piega risoluta e progressiva, quindi occhio vigile e frizioni settate.

Nella difesa, specie in presenza di grossi esemplari, non è raro vederlo risalire la corrente sempre attaccato al fondo. Massima attenzione nel caso di presenza di gradini sul fondale o peggio ancora se pescate in prismata. Proprio la tattica di difesa lascia il piombo o il feeder libero di trovare ogni genere d’incaglio.

La carpa divide e condivide i letti di pastura con il barbo, stesso modo di alimentarsi, stesso modo di aspirare anche se la carpa è agevolata dal “soffietto” più pronunciato dell’apparato boccale. Anche qui tanta attenzione e frizioni ben regolate.

Una carpa selvaggia di fiume, anche di piccole dimensioni, non è minimamente paragonabile a una cugina di cava abituata a una pressione di pesca costante la cui difesa non può non risentire di ambienti circoscritti e di una certa assuefazione alla cattura. Quando una carpa di Po incontra il nostro amo con tutta probabilità sarà il primo e ultimo che vedrà in tutta la vita. Inoltre le correnti e le profondità che andremo a sondare spesso vanno a braccetto con pesi in doppia cifra.

La mangiata della carpa somiglia molto a quella del barbo, evidenziando a volte solo qualche saltello o starata in più mentre assaggia l’esca prima di partire in 4^. Alla piega secca e prepotente corrisponde sempre una prima fuga al cardiopalma con metri e metri di nylon srotolato. Se peschiamo in uno spot con degli ostacoli o dove non è possibile seguire il pesce lungo la sponda è meglio settare tutta l’attrezzatura per cercare di fermare o limitare al massimo la prima reazione del pesce.

Esaurita la prima fuga la cosa diventa relativamente facile e basta controllare la carpa, sempreché controllare o assecondare 10 e passa chili di pesce selvatico sia cosa semplice e banale. Occhio ai combattimenti prolungati dove l’amo può lacerare la carne della bocca e provocare dolorose slamature per il pesce e per il pescatore.

Evitando di innescare il bigattino si evitano tutti gli abramidi di piccola taglia che viceversa sarebbero assolutamente frenetici sugli inneschi, ma un pellet o una boilie, specie se di taglia contenuta (dai 10 ai 15 mm), possono essere preda di una breme anche non enorme.

Di solito gli esemplari catturati hanno una taglia media dai 600/700 grammi fino ai tre chili. L’approccio non è certamente irruento nonostante si parli di grossi esemplari. La cima della canna mostra ripetuti saltelli e vibrazioni, se si usa una cima avon ben strutturata questa non piegherà mai verso il fiume e la rigidità dell’insieme e l’uso di un hair rig ben costruito sono sufficienti per allamare il pesce.

Sulla ferrata la breme si comporta in modo totalmente passivo, difficilmente evidenzia testate e ancora meno ripartenze, si limita ad affidare la difesa alla forma a vela del corpo fruttando la corrente, dibattendosi solo nei pressi del guadino. Un ospite poco interessante dal punto di vista sportivo che possiamo tranquillamente considerare alla stregua di un disturbo per le nostre esche.

Per evitarle quasi completamente basta aumentare il volume degli inneschi, per quanto grossa una breme difficilmente riesce ad aspirare una doppia pellet da 16 mm o una boiles da 20 mm e si limiterà a mordicchiare l’innesco senza riuscire ad aspirarlo completamente.

Nonostante l’indole da perfetto predatore l’aspio non disdegna gli inneschi tipici del ledgering, è un onnivoro e come tale si comporta. Alle volte ghermisce l’esca ferma sul fondo, magari attirato dall’odore del dip, altre volte attacca l’esca durante il recupero proprio come un classico predone. La taglia ovviamente è proporzionata e superare i due Kg non è poi così raro.

La mangiata sul recupero è una botta secca in pieno stile cacciata e l’amo scoperto del rig alle volte favorisce una buona presa al pari di un’ancorina. La mangiata sul fondo è una starata prolungata con relativo spostamento del filo verso la sponda seguendo la corrente. In sostanza l’aspio ingoia e continua a nuotare bello tranquillo.

La difesa è poca cosa, se si esclude il momento dell’attacco il resto è un po’ come recuperare un peso morto. Solo nel sottoriva alla vista del pescatore o del guadino tenta qualche “ribaltone” ma poca cosa se rapportato alla difesa di altri pesci.

Difficilmente un siluro di svariati chili è interessato a pellets e boilies, molto più facile che lo sia un siluro più piccolo che nella sua dieta annovero ancora un po’ di tutto e non solo pesce vivo o morto. L’approccio è un “non approccio”, il siluro arriva, ingoia e se ne va. La canna si piega in modo omogeneo senza le accelerazioni rapide di carpe e barbi.

La difesa è spesso indolente, solo di peso, con qualche debole testata o arrotolamento in stile coccodrillo. La taglia media dei pesci che mangiano pellets e bigattini difficilmente supera i dieci Kg e l’unica variabile sull’esito del combattimento è dovuta ai piccoli denti presenti sul palato del siluro, denti che possono recidere anche il nylon più dimensionato.

Nel Po fishing sono possibili altri incontri quali carassi, lucioperca o qualche cefalo nel periodo estivo. Ultimamente sono sempre più frequenti le segnalazioni di catture di channel, seppur con taglie ancora molto lontane da quelle riscontrabili in Arno.

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