Il rilascio della Trota

Alcuni ragazzi, mi hanno chiesto opinioni e consigli circa il corretto rilascio delle trote allamate. Visto che non è  la prima volta che mi si interroga su questo tema e che, alla loro età, anch’io sono stato assillato da dubbi e incertezze a riguardo, l’argomento di questa chiacchierata sarà proprio quello del rilascio del pescato...

- Quatrà (ragazzo), sci pijato le trote? -
Il “guardia” era basso, tarchiato, una faccia rubiconda da estimatore etilico e un paio di baffi alla carabiniere di Pinocchio…
- La tè la licenza? -
- Eccola… - frugai nel taschino della giacca invernale, - ne ho prese due, e tre, piccole, le ho rimesse. -
- Bravo! Non pijete le sottomisura che me facete ‘ngazzà! -
L’uomo, a parte il piglio burbero e autoritario, era palesemente un tranquillo padre di famiglia, che svolgeva alla meglio il suo mestiere.

Io ero molto giovane, alle prime esperienze sui torrenti; rispettavo la storia della misura minima, ma non ero molto convinto circa le possibilità di sopravvivenza di una trotella di sedici centimetri con un amo del quattro piantato in gola. Così, approfittando dell’occasione, mi sbilanciai:

- Scusate, io cerco sempre di liberare le piccole, ma certe volte l’amo sta piantato profondo, magari la trota perde sangue… Si, taglio il filo, ma l’uncino rimane… credo che pesci così abbiano si  e no una possibilità su cento di cavarsela… -
- Quatrà, non una su cento, una su mille, dico i’!  Ma statte sicuro, quando la sci messa dentro la tjella, gli sci tolto pure quella possibilità!

La risposta mi fece riflettere. Dopo quell’incontro, di trote ne ho allamate a centinaia, ma la speranza che davvero qualcuna potesse vivere, mi ha sempre consigliato di rimettere in acqua quelle che, anche lontanamente, ritenevo si potessero salvare

E’ ovvio, le norme sono indispensabili per regolamentare l’attività alieutica ma poi, col passare degli anni, ho maturato la ferma convinzione che non sia tanto l’imposizione di legge a fare il buon pescatore, quanto una corretta e consapevole autocoscienza.

Personalmente ho sempre cercato di attenermi alle disposizioni ma confesso che, a volte, ho trattenuto pesci al limite della misura, o anche sotto, che mi sembravano in condizioni tali da non poter riprendere la via del torrente per magari liberare una “vecchia” di mezzo chilo o più, in quei corsi d’acqua, sempre più rari, che ospitano trote capaci di portare una frega a buon fine.

Spesso, nel periodo d’apertura, si salpano fario che spruzzano uova o “latte” in quantità. Chissà se non sia il caso di rimettere in acqua alcuni degli esemplari più grossi e non solo le sottomisura? Lo so, la prospettiva della griglia è stimolante, l’esibizione al negozio di pesca dà libidine ma, nell’era dei telefonini con camera incorporata, immortalare le bellissima di turno prima di restituirla all’ambiente, può essere uno sfizio da non trascurare.

Sia chiaro, non appartengo alla categoria di chi, per partito preso, libera sempre e comunque tutto quello che aggancia all’amo; sono convinto che, anche il mangiare un pesce in compagnia, sia una delle gioie della vita. Resta il problema del come rilasciare al meglio una trota che ci ha gratificati delle sue attenzioni e abbiamo deciso di rimettere in acqua.

Premesso che i tanto celebrati ami senza ardiglione funzionano bene ma con qualche limite (in caso di ingoio, proprio a causa della mancanza di freno opposto dal barbiglio, penetrano profondi, raggiungendo più facilmente punti vitali!), è bene ricordare che un pesce agganciato nella zona labiale o nelle cartilagini più esterne, non presenta grossi problemi per il rilascio neppure con ami muniti di ardiglione.

Oltre tutto, la generazione del terzo millennio, presenta barbigli estremamente ridotti che, se l’operazione di slamatura è fatta con un minimo di criterio, non provocano ferite devastanti.

Chi scrive, da ragazzino, ha assaggiato più volte gli “arpioni” degli anni sessanta e vi garantisco che quelli, una volta piantati, specialmente nel dito,  era davvero una tragedia farli uscire! Il problema purtroppo si complica quando l’amo è conficcato in fondo alla bocca o, peggio, in gola, non a vista. In quel caso, ardiglione o no, l’unica è quella di tagliare il filo,  il più a corto possibile, cercando di non far sbattere e strepitare la malcapitata preda, per non provocare ulteriori lacerazioni.

Ho pescato trote che avevano vecchi ami conficcati in gola e, tutto sommato, non se la passavano male. Credo di aver già narrato della fario che ho catturato  tre volte nell’arco di un mese, nonostante due ami miei piantati in gola… ma mi è anche accaduto, purtroppo, di vedere colleghi in perfetta buona fede, procedere al rilascio dopo aver lasciato la trota appesa per un’eternità, averla bloccata con uno straccio, strizzato ben bene e, come tocco finale, frugato nella gola a più riprese con lo slamatore...!

Ho sentito personalmente una tenera giovane fario appena rilasciata, apostrofare il pescatore in questi termini: - E chekkazzo, mi facevi subito al cartoccio, soffrivo un sacco di meno! - Dette queste parole si è rovesciata su un fianco, per morire subito dopo.

In  passato ho sentito celebrare l’amo grande come la panacea per la tutela dei salmonidi: è vero, se peschiamo in acque che ospitano trotelline di pochi centimetri che non riescono a ingoiare, ma se qualcuna ci riesce, le cose si mettono molto male! In genere un amo piccolo “buca di meno”, ha un filo più fine, se resta in gola dà meno fastidio di un gancio dell’uno… Quindi, a patto che non si peschi in mini acque, popolate solo di infanti, un amo non grande può servire allo scopo.

L’espediente è, in ogni caso, quello di ferrare al minimo avviso di toccata, così da evitare il tanto temuto ingoio. Il problema del rilascio non è poi soltanto legato alla questione delle sottomisura: mi è accaduto di vedere gente, il giorno dell’apertura o in quelli immediatamente seguenti, capitata su una pozza imballata di trote d’immissione, praticare con orgoglio il catch & release (pomposa espressione per indicare il rilascio!) ributtando in acqua le catture, più morte che vive, vantandosi dello spirito sportivo: pesci slamati in fretta, afferrati con i guanti da gara che asportano il muco protettivo, tirate al filo per giungere all’amo che “ara” nel palato, nessuna cautela nel deporre in acqua la trota in stato di anossia… ecc. 

A fine pescata la maggior parte dei pesci fluttua a pancia in su in fin di vita e quelli che ancora riescono a gestirsi hanno lesioni gravi che li porteranno a morte comunque nelle ore successive. Tutto inutile, tanto vale infilarli nel cestino e… buonanotte al secchio! Non può essere questo il modo.

Sicuro di non riuscire a dissolvere le perplessità su un tema tanto delicato, proverò a sintetizzare l’esperienza così:

  1. Ferrate sempre al primo avviso: probabilmente allamerete il pesce nei punti più esterni. Se lo sbagliate non cadrà il mondo, se lo agganciate vi sarà facile l’operazione di slamatura.
  2. Usate ami grossi e inneschi voluminosi nelle piccole acque popolate da trotelline: sentirete parecchie mangiate a vuoto ma avrete garantito la salvezza alle baby.
  3. Se avete la certezza di pescare in acque popolate da pesci di buona taglia, non montate ganci esagerati: amo piccolo uguale meno danno per il pesce. Eventualmente usate esche grosse così da scoraggiare le sempre possibili aggressioni delle taglie small. Privilegiate uncini a filo moderato, con o senza ardiglione.
  4. Non adoperate lo slamatore come fosse un punteruolo, quando è possibile usate le dita; se agite con delicatezza sono ok.
  5. Con l’amo profondo o non a vista, tagliate il filo appena fuori della bocca. Alcune così si salvano. A tale proposito, soprattutto nelle frenetiche pescate di apertura, montate una buona quantità di ami usati, riciclati da precedenti uscite e… tagliate senza rimpianti.
  6. Evitate di tenere la trota appesa a strepitare per mostrarla agli amici o ai vicini di sponda: se possibile, lasciatela nell’acqua bassa della riva e, se l’amo è bene in vista, slamatela direttamente in acqua.
  7. Non spremete il pesce e, quanto meno, non usate stracci o guanti per afferrarlo: meglio se, prima di stringerlo, avrete bagnato la mano. Non infarinatelo in mezzo al fango e ai detriti della sponda!
  8. Se siete in amichevole gara con gli amici su una buca ricca di pinnuti immessi, non cedete alla smania della velocità, non tirate il filo per arrivare all’amo, evitate di lacerare l’apparato boccale della trota;  sganciate con piccole scossette decise, nel verso opposto a quello della penetrazione.
  9. Rimettete in acqua con delicatezza, possibilmente nell’immediato sottoriva. Evitate di fare gli esibizionisti lanciando pesci, già stressati dalla cattura, direttamente nella corrente impetuosa: non sono in grado di contrastarla.
  10. Non avrete mai la certezza matematica che la trota che avete rilasciato con tanta buona intenzione continuerà a vivere. Prendete però per regola quella suggerita dal simpatico guardiapesca dei miei vent’anni. Provateci, ogni volta che il cuore vi dice di farlo.

Se poi decidete di mangiare qualche pesce, trattenetelo pure, ma senza essere rapaci. Limitando i vostri prelievi, cercando di rispettare le regole, avrete contribuito a tutelare in qualche modo la popolazione dei nostri fiumi. 

Importante è non dimenticare mai che la natura è come il pollaio per il contadino o il gregge per il pastore. Va curata, amata e difesa in ogni modo anche se, nella misura suggerita dal buon senso e dal raziocinio, ne raccogliamo i frutti.

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