Pesca con Galleggiante: Roubasienne e Fiaschetto

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Più che un fiasco è un fiaschetto l’oggetto della nostra attenzione, una forma di galleggiante che crea non pochi problemi, ma quando se ne carpiscono tutti i segreti, diventa un punto fermo irrinunciabile per la pesca nelle acque ferme di pesci difficili e schizzinosi.

L’argomento di questo mese riguarda l’uso di un galleggiante che molti pensano di conoscere, ma che è sempre piuttosto problematico da vari punti di vista.

Questo modello ha fautori che non rinuncerebbero mai a montarlo su una lenza ed io sono fra questi, mentre altri lo scartano a priori, ritenendolo troppo difficile da leggere e scarsamente utilizzabile nella maggior parte delle acque.

Ora, mentre posso essere d’accordo con il secondo appunto, per il primo credo proprio che ci sia da parlarne, perché probabilmente è solo una questione di abitudine all’uso. La forma in questione è quella a fiaschetto e il perché intendo parlarne in questo numero è che alle porte c’è la ripresa dell’attività di pesca nei canali e, particolarmente, in quelli con acque ferme o molto lente.

I modelli

Parlare genericamente di “fiaschetto” può essere riduttivo, visto che questo appellativo si può dare a modelli con diversi rapporti dimensionali.

Ce ne sono di allungati, di tozzi, di intermedi, ma tutti hanno un denominatore comune, una pancia abbastanza pronunciata ed un collo più o meno lungo che diventa molto sottile verso l’antenna, tanto che nei modelli più raffinati, capire dove finisce il collo e dove comincia l’antenna, può essere difficile.

Ma non è solo la forma più o meno allungata del corpo a distinguere i nostri “fiaschetti”, possono diventarlo anche le altri componenti.

L’antenna, ad esempio, che può essere in plastica piena, in fibra di vetro o anche in metallo. Le ho messe in quest’ordine, perché, dalla prima all’ultima, si ha un incremento di sensibilità piuttosto accentuato, mentre aumenta anche un altro fattore di non poca importanza, cioè la visibilità. Mi riferisco, in particolare agli ultimi, quelli con l’antenna in acciaio armonico che, di solito, non supera la misura di 0,20 mm.

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Oggi sono molto meno impiegati di un tempo per due motivi. Il primo è che la ricerca esasperata di pesci dalla mangiata quasi impossibile non si fa quasi più se non in competizione in casi eccezionalissimi. Il secondo motivo risiede nel fatto che con la fibra di vetro si ha la stessa sensibilità con una visibilità accettabile, non pari alla plastica fluo, ma quasi.

I difetti

Partiamo dai lati negativi di questi galleggianti che non sono pochissimi e che ne limitano l’uso solo ad acque ferme o con una velocità trascurabile.

Il maggior problema per l’uso in acque mosse è dato dalla posizione dell’anellino per il passaggio del filo che non può mai essere posto a stretto contatto con l’antenna per la sottigliezza del collo.

La scarsezza di materiale in questo punto non permette un incollaggio e una tenuta sufficiente. Solo nei modelli un po’ più “massicci” è possibile assicurare un minimo di tenuta, per gli altri è una battaglia persa e bisogna accontentarsi di posizioni più basse.

Tutto questo provoca l’impossibilità di poter effettuare una seppur minima trattenuta senza che il collo del galleggiante esca dalla superficie dell’acqua rendendo la gestione della passata un inferno. E anche in caso di vento non è che si comportino così bene, con quel collino sottile che tende sempre ad uscire dall’acqua! Il secondo lato negativo è dato dalla difficile taratura, tanto più problematica quanto più sottile e rastremato è il collo del galleggiante.

L’Eclipse di cui parlavo prima, nel quale, appunto non si riesce a distinguere nemmeno il punto di inserzione dell’antenna, richiede la proverbiale pazienza di Giobbe per arrivare all’ottimo e, comunque, in pesca c’è sempre da ritoccarla a suon di pallini del 14 da togliere o da aggiungere.

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Altro giro altro problema, quello del percorso che deve fare il filo attorno al profilo del corpo. Entra attraverso l’anellino e descrive la curva molto ampia della pancia per poi tornare bruscamente alla base della deriva.

Tutto questo, quando il filo è in tensione, oppure in caso di una ferrata un po’… ardita, provoca un notevole sforzo a carico dell’anellino che tende a sradicarsi dato che l’infissione nel legno di balsa è precaria per la sottigliezza del collo, ma si deve fare attenzione anche a spostare il galleggiante sul filo per dare fondo o toglierlo, perché con la curva accentuata che descrive sulla pancia, se non sblocchiamo i tubetti in silicone che lo fermano sulla deriva, rischiamo di intaccare la vernice rovinandolo. Evitare, dunque, le tensioni eccessive.

Per questo mi sento di sconsigliare vivamente l’uso di questi modelli di galleggiante nei carpodromi, anche quando la pesca è lenta come, ad esempio, in inverno. Può bastare una carpa nemmeno tanto grossa a ridurvi il galleggiante ad un rottame inutilizzabile.

Un po’ di prevenzione

Un collo così sottile e delicato come quello dei fiaschetti merita un minimo di attenzione e, soprattutto, un po’ di prevenzione dei danni che si possono realizzare in pesca. In particolare a carico del punto più delicato che quello di inserzione dell’antenna nel corpo in balsa. Il filo che fa uno o due giri intorno all’antenna mentre si pesca non è certo un problema per un galleggiante a goccia o a pera rovesciata.

Anche in caso di una ferrata violenta, l’antenna flette, il filo si libera e tutto ritorna come prima dell’attorcigliamento.

La flessione dell’antenna, in un galleggiante a collo sottile, è invece un fatto traumatico e si può rompere il delicatissimo punto di contatto collo-antenna. Attraverso le piccole crepe che si formano entra l’acqua, il galleggiante “beve”, comincia ad affondare e poi si rovina definitivamente.

Le cose che possiamo fare sono due. La prima è la prevenzione del danno che si può fare dando un velo di colla cianoacrilica intorno al collo prima di montare in lenza il galleggiante. Non che si abbia una robustezza a prova di bomba, ma aiuta.

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La seconda cosa da fare è quella del recupero di un galleggiante che presenti delle crepe intorno al punto di inserzione dell’antenna. Anche in questo caso, basta dare un velo di ciano acrilico per riparare le fratture e poi, se si intravede il colore chiaro del legno di balsa, si passa con un pennarello nero sulla riparazione (a colla asciutta) per avere di nuovo un galleggiante perfetto.

I lati positivi 

Qualcuno, considerati i difetti evidenziati, si sarà chiesto come possa piacermi così tanto questo modello di galleggiante. Semplicemente perché è insuperabile a livello di sensibilità e lettura della mangiata una volta che ci si è fatto l’occhio.

Non esiste un galleggiante “parlante” come il fiaschetto se ci sono da prendere delle breme o dei carassi di canale. Voi taratelo da metà antenna a “bolla” e vi dirà anche se i pesci passano accanto all’esca e se si sono fermati a guardarla, figuriamoci se la mangiano.

Certo, non è un galleggiante da mais e nemmeno da verme, ma se innescate esche leggere come un solo bigattino, un singolo ver de vase o un ciuffetto di queste larve acquatiche, il lavoro che fa è da goduria assoluta.

C’è un'altra regola da osservare con questi galleggianti ed è quella dell’uso di una bandiera corta, quindi della pesca sotto punta. La taratura quasi maniacale e la non grandissima stabilità di questi modelli li rendono vulnerabili a qualsiasi perturbazione, perfino a quella che subisce una bandiera lunga ad opera del vento.

Scordatevi dunque, se non per accomodamenti dell’ultimo minuto già in pesca, l’uso dei fiaschetti per la pesca fuori punta: potreste impazzire nel cercare di capire se quello che vedete è una mangiata o un “effetto speciale” dovuto a un refolo di vento.

Collo lungo o corto?

La lunghezza del collo è determinante per il controllo costante della lenza. Più è lungo e più è difficile gestirla, per questo, preferisco dei fiaschetti molto compatti, ma questa è una mia opinione, può darsi che per altri non valga lo stesso discorso.

Tuttavia va notato che un collo molto lungo e sottile, per motivi tecnici, impone una posizione dell’anellino per il passaggio del filo piuttosto bassa e ciò contribuisce ad un’emersione del collo molto pronunciata in caso di spostamento laterale della lenza per movimenti di adescamento, cosa che a me non piace. Io preferisco un galleggiante che mantiene il corpo sommerso durante gli spostamenti e che mi permette di poter valutare un’eventuale spiombata per sollevamento dell’ultimo piombo da parte del pesce durante quest’azione.

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Con il collo già fuori a causa della trazione, sarebbe impossibile capire se dipende da me o da un pesce che sta abboccando.

Tuttavia, devo ammettere che un collo lungo e sottile, a lenza ferma, è insuperabile per scorgere una spiombata: basta che il pesce sollevi un “plomb de touche” del 9 che vi usciranno dall’acqua 5 mm di collo.

La lenza

La non trascendentale stabilità di questi galleggianti va incrementata abbinando una piombatura piuttosto raccolta. Non pretendete di affiancare il fiaschetto a lenze “spallinate” da cavedano senza prepararvi ad un controllo della lenza quasi impossibile.

Questi galleggianti, lo ripeto per l’ennesima volta, pescano bene a lenza ferma o, al massimo, trascinata lentamente con la punta della canna. Un bulk a tarare il 90% della portata del galleggiante e uno, al massimo due pallini sotto, sono quanto occorre ed è bene che tutta la piombatura non superi i 25 cm di estensione.

Anche i finali da abbinare devono essere corti: da 15 a 25 cm. Se si pescano breme, che hanno la caratteristica di mangiare frequentemente in spiombata, è bene che la misura del pallino piazzato al nodo del finale non sia eccessivamente piccola: un 9, ma anche un 8 se si pesca con piombature intorno al grammo, sono da preferire.

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