Pesca a Totani e Calamari

Squid

Il totano, come il calamaro, entra in attività di notte ed è questo il momento in cui viene solitamente pescato, soprattutto da dopo il tramonto fino a poco prima dell’alba, anche se non è esclusa la possibilità di catturarli anche di giorno.

I totani, che vivono in profondità, si avvicinano a riva nei mesi da ottobre a marzo, preferiscono fondali fangosi e sabbiosi per cui bisogna conoscere le caratteristiche del tratto di mare in cui si intende pescare. Su un fondo molto roccioso le probabilità di cattura sono infatti minime.

Abitudini e fondali sono gli stessi per calamari e totani, con l’unica differenza che i primi amano anche i letti di alghe.

Le lenze possono essere semplici, limitate a un monofilo di grosso diametro avvolto su una tavoletta, con una lunghezza media intorno ai 50 mt. Dal momento però che pescando di notte si rischia di ingarbugliare il filo durante un recupero, è più comodo usare una canna robusta e rigida, con un mulinello capace di avvolgere 50 mt di monofilo dello 0,50.

Totani e calamari si possono pescare sia con esche naturali, sia con esche artificiali.
Con esche naturali, solitamente piccoli pesci come boghe o sugarelli non superiori ai 150 g di peso, si usa il “ciuffo” o “totanara” che, nonostante il nome, è valido anche per i calamari.

Consiste in un tondino metallico d’acciaio o d’ottone, lungo una ventina di centimetri e con un diametro di pochi millimetri, con a un capo un ciuffo di ami robusti e privi di ardiglione e all’altro un anello saldato che permette di assicurare saldamente la totanara alla lenza.

 
 

Sempre restando nel campo delle esche naturali c’è una tecnica, detta del pesce “libero”, che non utilizza la totanara, ma un piccolo pesce morto, legato alla lenza con un cappio intorno alla testa e il filo che gli attraversa il corpo, in modo da farlo rimanere a testa in giù.

Il pesce non deve superare i 200 g di peso e può essere una boga, una menola, un sugarello o una sardina.

Non si usa piombatura o zavorra, per cui sarà solo il peso dell’esca a fare scendere in profondità la lenza. Poiché la barca non è ancorata, si viene a creare un effetto simile a quello della “correntina” di una piccola traina.

La pesca mediante esche artificiali avviene secondo le stesse modalità: una volta che l’artificiale finisce in acqua, attendiamo che questo guadagni il fondo. Vedremo il trecciato uscito dal mulinello non muoversi più, a patto che stiamo pescando su fondali sabbiosi.

Dopo questa fase si compiono due Jerkate, recuperando successivamente il filo in bando, aspettando poi 15 secondi (il tempo necessario all’artificiale per riguadagnare la prossimità del fondo). Si ripete questa azione di pesca fino a quando l’artificiale non finisce nel sottoriva. In genere si fanno tre lanci e poi ci si sposta di una quindicina di metri.

La seppia attaccando l’artificiale mette in tensione il trecciato, e il segnale che viene trasmesso alla punta della canna non è altro che un appesantimento di questa (la sensazione di aver preso un sacchetto si fa largo in noi…).

Quando recuperiamo, facciamolo costantemente e con calma, in modo da non strappare i tentacoli al cefalopode. Per salparlo, meglio usare un guadino.

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