Rattopesca in Carpodromo:Guida alle Lenze ed alle Attrezzature

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Tra le varie pesche che si praticano in carpodromo, la più caratteristica di questo contesto è sicuramente la pesca cosiddetta “marginal”, meglio conosciuta in Italia col nome di “rattopesca”. Il presente articolo fa una rassegna generale delle attrezzature, delle lenze e degli approcci con cui questa pesca viene fatta.

“Rattopesca”: che strana fantasia deve avere o deve aver avuto chi ha chiamato per primo così questo tipo di pesca!

Un nome simpatico, direi, entrato nel nostro gergo alieutico forse anche per questa sua simpatia, ma di certo anche un modo curioso e bizzarro di chiamare una pesca dove le prede ambite sono sempre i pesci e che con i ratti non ha proprio niente a che fare!

Nata una ventina d’anni fa nei laghetti e nei carpodromi, che è dove tutt’oggi viene in prevalenza praticata, si esercita con canne apposite, molto corte e potenti, alla ricerca delle carpe che, generalmente, in questi ambienti, nel periodo estivo, vengono a cibarsi vicino alle sponde e addirittura sui fianchi delle stesse, un’abitudine acquisita anche dai grossi pesci gatto, che con ciò sono diventati altre prede piuttosto ricorrenti di questo metodo.

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Più che di una ricerca, però, si tratta in molti casi di una “mattanza” fatta di catture numerose ed effettuate a ritmi serrati, col risultato di arrivare con una certa facilità a superare anche il quintale di pescato e di realizzare, talvolta, pesi davvero sbalorditivi.

Le “mini-rouba”

La “rattopesca” vera e propria viene fatta nell’immediato sotto riva con apposite canne fisse di lunghezza compresa tra 1 e 4 metri, le quali, dovendo resistere alla trazione di pesci molto forti e di discreta mole, sono rese particolarmente robuste e potenti, e vengono munite, inoltre, di un grosso elastico interno.

Un tempo, attrezzi del genere venivano ricavati dai pezzi di vecchie canne fisse, generalmente in fibra di vetro o in fenolico, alle quali veniva tagliata o perfino tolta del tutto la vetta, ma oggi vengono prodotti da tutte le più note aziende di settore, che li vendono anche a prezzi irrisori, pertanto è facile reperirli sul mercato.

L’esigenza d’“allungarsi” un po’ che viene sentita quando occorre pescare le carpe qualche metro più in là rispetto alla sponda ha spinto, poi, le ditte stesse a produrre anche delle mini-roubaisienne, in genere lunghe 8 metri al massimo, specifiche per la “rattopesca”, attrezzi, anche questi, capaci di reggere gli sforzi prolungati dovuti alle catture ripetute di pesci grossi e combattivi.

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In Italia la “rattopesca” viene fatta in massima parte proprio con queste “mini-rouba”, anche se tra noi non sono pochi quelli che la fanno con canne bolognesi, inglesi o barbarine adatte al caso, modelli “strong” o “extra-strong”, dunque, lanciando la lenza a mo’ di canna fissa e tenendola in pesca subito sotto la punta della canna come di regola si fa con la roubaisienne.

In Inghilterra, la patria delle “fisheries”, gli inglesi, per il “marginal fishing”, come chiamano la pesca alle carpe fatta nel sotto sponda, usano anche dei modelli molto particolari di match rod, quella che noi italiani chiamiamo “canna all’inglese”, e cioè dei modelli “mini”, lunghi anche solo 9’ (m 2.70 circa) o, all’opposto, dei modelli “extra-long” da 17’ a 20’ (m 5.20-6.10 circa), dei tipi di canna che non hanno avuto alcuna diffusione nel nostro Paese. Forse non ancora!

Elastici e lo stripper

Prima di vedere le lenze-tipo per la “rattopesca” e gli approcci più consoni con cui praticarla, argomenti trattati nei paragrafi successivi, bisogna soffermarsi su alcuni dettagli tecnici che riguardano l’elastico da montare dentro la “mini-rouba”, dettagli molto determinanti in questo genere di pesca.

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Determinante è, anzitutto, la scelta tra elastico pieno e cavo, col primo che, oggettivamente, è tra i due quello meno indicato per una pesca rivolta a pesci grossi, le cui potenti fughe rendono più adeguato un elastico dotato di una maggiore capacità d’allungamento, che è, appunto, la prerogativa del cavo (ma in questa scelta giocano molto anche le preferenze e le abitudini soggettive).

Scelta ancor più importante, poi, è quella che riguarda la misura d’elastico più adatta al caso e che meglio si rapporta alle misure del filo e dell’amo;

con carpe grosse, ben disposte ad abboccare e che hanno molta forza occorrono, ad esempio, elastici di diametro grosso, da almeno mm 2 nel caso di quelli pieni e non inferiore a mm 3 con i cavi, spessori, questi, che si rapportano bene a fili da mm 0.20-0.25 e ad ami del n° 10-8;

invece, con fili da mm 0.14-0.18 ed ami del n° 14-12, quali di norma vengono usati quando si tratta di pescare carpe di taglia non grossa o dall’abboccata non facile, sono certamente più adatti elastici pieni da mm 1.4-1.8 e cavi da mm 2.3-2.6.

Altri particolari tecnici importanti sono quelli, infine, che riguardano il montaggio dell’elastico all’interno della canna, che va fatto su almeno i primi due pezzi per poter disporre di una sufficiente elasticità, dando all’elastico anche la tensione giusta, né troppa da non farlo allungare quanto serve, né troppo poca da impedire l’allamatura del pesce (a tal proposito, è sempre meglio, quindi, averlo piuttosto teso, con pesci come le carpe che hanno una bocca callosa).

Un discorso a parte, che però riguarda ancora il montaggio dell’elastico, è quello relativo allo stripper, come viene chiamato questo sistema ormai comune di montare l’elastico che consente di estrarre a mano quest’ultimo dalla canna mentre si combatte col pesce, tirandolo via nel verso contrario a quello in cui tira la preda, una manovra, questa, che permette di forzare e velocizzare il recupero delle grosse carpe.

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L’uso dello stripper non è certo indispensabile per fare la “rattopesca”, ma è senz’altro vantaggioso, soprattutto in gara, dove la velocità è un fattore decisivo, e specialmente se s’utilizza un elastico cavo, che avendo un allungamento maggiore, rende particolarmente utile questa possibilità di richiamarlo tirandolo con la mano.

I fili e gli ami

Considerarla una pesca prettamente estiva è sbagliato, ma indubbiamente è l’estate il periodo ideale e più redditizio per fare la pesca “marginal”, essendo quello in cui le carpe dei laghi commerciali sono più attive e propense a mangiare sotto sponda.

Generalmente d’estate questi pesci hanno anche molta più forza e vitalità, e questa è la ragione per la quale normalmente, nei mesi caldi, si pescano con fili di calibro discreto, da mm 0.20 a mm 0.25, e con ami piuttosto grossi, indicativamente del n°10-8 (la grandezza dell’amo può esser diversa da una serie ad un’altra, cosicché un amo del 12 di una certa serie può, per esempio, essere più grande di un amo del 10 di serie differente).

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Indipendentemente, poi, dallo spessore del filo e dalla grandezza dell’amo, si può scegliere se fare il finale o pescare a filo diretto, con la seconda opzione che tende ad essere, se non lo è già,quella preferita dai pescatori che fanno la “rattopesca”, ciò in ragione, ovviamente, della maggiore tenuta che una lenza fatta con un filo solo offre presentando meno nodi.

Una scelta altrettanto importante è infine quella tra usare un classico amo munito d’ardiglione e uno che invece ne è privo;

delle due opzioni è anche qui la seconda quella che va per la maggiore nella “rattopesca”, in primo luogo, per il divieto, che vige in quasi tutti i carpodromi, di usare gli ami con l’ardiglione, e in secondo luogo, per il fatto che l’amo “barbless” agevola parecchio la slamatura del pesce a seguito della cattura, un vantaggio, questo, che è particolarmente utile in gara, contesto nel quale possono penalizzare molto anche i secondi persi a slamare il pesce catturato.

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I galleggianti e le tattiche

In una pesca che si pratica in acque ferme e sotto sponda, dove in genere c’è anche poco fondo, difficilmente può avere ragione d’utilizzo un galleggiante pesante, pur dovendo pescare in presenza di vento, motivo per cui nella “rattopesca” è alquanto improbabile trovarsi a dover usare galleggianti di portata superiore al grammo.

Un altro motivo che giustifica questo impiego di galleggianti leggeri è che le carpe dei carpodromi, a forza d’essere prese e riprese, possono affinare moltissimo la percezione della resistenza che il galleggiante oppone quando abboccano, tanto che una tattica sempre più diffusa prevede di pescarle addirittura con un galleggiante leggermente sovra tarato, sfruttando la sua tendenza ad affondare proprio per minimizzare la resistenza suddetta fin quasi ad annullarla.

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Obbligando a richiamare il galleggiante ogni volta che affonda da sé, questa tattica fa fare dei frequenti ed efficaci richiami dell’esca, e consente inoltre d’allamare il pesce in anticipo, prima ancora, cioè, che il galleggiante segnali la sua presenza all’amo.

Tattica di grande efficacia, dunque, ma non certo la sola che è possibile adottare nella “rattopesca”.

Un’altra altrettanto interessante e che pure viene adottata spesso nelle gare di pesca che si disputano nei carpodromi, prevede l’impiego di un galleggiante molto piccolo, anche da solo un decimo di grammo di portata, il quale viene tarato col peso del grano di pellet messo all’amo, senza mettere nemmeno un piombino in lenza o mettendone, tutt’al più, soltanto qualcuno ad intervalli molto spaziati, in modo tale che il pellet innescato possa scendere in acqua in maniera lenta e naturale, confondendosi bene con quello dispensato per richiamo;

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è la lenza per insidiare le carpe “a galla”, o “in calata”, o comunque quando salgono dal fondo per ghermire le esche sfuse (pellet, mais, bigattini, ecc.) dispensate per pasturare, un comportamento che in certi laghi commerciali, questi pesci manifestano anche in pieno inverno, se entrano in frenesia alimentare.

Di regola, però, la “rattopesca” si fa con l’esca appoggiata al fondo o staccata di poco dallo stesso, e con un “bulkettino” di piombini messo nel basso di lenza che serve principalmente a tarare il galleggiante e a conferire alla lenza stessa una maggiore sensibilità.

In tal caso, sondare il fondo diventa quindi un’operazione essenziale da effettuare con la massima accuratezza, individuando con precisione i vari livelli di profondità presenti nell’area di pesca e gli eventuali “scalini” e avvallamenti del fondo che di solito sono punti buoni dove pescare.

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La scelta se far poggiare o no l’esca sul fondo, ed eventualmente quella di quanta porzione di filo con l’amo far appoggiare, possono dipendere da più fattori, primo fra tutti, dalla quantità di pesce in pastura;

se ce n’è poco, infatti, di norma è meglio “appoggiarsi” di una decina o anche una quindicina di centimetri, per avere l’esca ben ferma in terra, come in genere la preferiscono le carpe, specie quelle più grosse, mentre con tanti pesci che mangiano in maniera frenetica conviene sempre “appoggiare” di meno, magari soltanto l’esca, oppure “staccarsi” di almeno cinque centimetri, per avere, così, meno probabilità di rampinare il pesce, fenomeno che può avvenire con frequenza e causare parecchie “slamate” accidentali.

Con ciò diviene dunque fondamentale, soprattutto in gara, anche saper dosare la pasturazione, facendola regolare e continua, ma senza mai eccedere nella quantità, proprio per evitare di portarsi sotto troppi pesci o di saziare i pochi che ci sono, un concetto, quest’ultimo, che tra i garisti viene espresso col motto “Si pesca con la mano destra (la mano che regge la canna), ma si vince con la sinistra (quella con cui si pastura)!”

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