Pesca in Carpodromo. Come Pasturare in Inverno

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Non fatevi notare troppo in casa a trafficare con quello che vi diremo in questo articolo: rischiereste grosso. Meglio che lo facciate in garage o nella vostra stanza segreta della pesca, ma ne vale la pena, perché funziona davvero!

Inizaimo questo articolo raccontando un aneddoto accaduto durante un paio di pescate in un laghetto “quasi carpodromo”.

Ecco la prima: temperatura sotto zero di primo mattino, recupero veloce di gradi dopo la levata del sole, tecnica scelta: roubaisienne. La pesca inizia con un paio di fiondate di bigattini ed un altro paio di mais. Dopo pochi minuti iniziano timidamente le mangiate e due o tre pesci arrivano velocemente a guadino. L'agonista incoraggiato dai risultati, fionda ancora ed un altro paio di pesi abboccano, poi, più nulla. Cappotto fino alla fine della pescata.

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Seconda sessione nel solito posto tre giorni dopo, tecnica scelta: feeder. Il pescatore, stavolta inizia con un Black Cap che, a occhio e croce, non contiene più di 15-20 grammi di bigattini. Tre lanci in sequenza veloce per creare un certo “fondo” di larve e al quarto c'è già una carpa appesa all'amo, poi altri tre carassi e ad ogni lancio va giù un contenitore pieno di bigatti, anzi, visto che il pesce risponde, il pescatore li fa anche belli pieni pigiandoceli dentro a forza. Risultato: dal settimo lancio al millesimo, cappotto.

Perché? Con il freddo, si sa, la frequentazione dei laghetti e delle cave diventa quasi una costante. Sono molti i pregi di queste strutture: comodità, vicinanza a casa, possibilità di incontro con gli amici di pesca, eccetera. Non ultimo e, certamente molto più importante del resto, il tipo di pesca che da frenetica cattura di carpe, come si ha durante la bella stagione, si trasforma in una ricerca nella quale bisogna mettere in campo tutta la propria esperienza. Il freddo, infatti, deprime l'attività dei pesci e li rende assai diffidenti.

Tutto questo è conseguenza del fatto che i pesci, come altri animali, sono ectotermi, cioè il loro corpo ha la stessa temperatura dell'ambiente che li circonda. Tutto questo, in particolari ambienti e quello acquatico è uno di questi, ha un vantaggio evolutivo non indifferente che consiste nel poter avere consumi energetici molto bassi quando le condizioni ambientali sono sfavorevoli, come nel caso della bassa temperatura.

La conseguenza principale è che questi animali non hanno la necessità di alimentarsi con continuità come invece accade agli animali omeotermi, come gli uccelli e i mammiferi, che devono consumare energia (e alimenti) per mantenere costante la temperatura corporea.

Ecco, allora, la spiegazione a quanto è accaduto al lago: i pesci mangiano quel poco che serve loro in rapporto al fabbisogno energetico del momento e poi chiudono la bocca. Tutto questo serve anche a sfatare il classico detto: “Oggi non mangiano!”

Mangiano, invece, ma solo quanto basta loro e, poiché ciò che diamo come pastura per richiamarli deve sempre essere inferiore alla loro ipotetica fame (sta qui l'abilità del pescatore), è chiaro che superare questa quota equivale a ripetere quello che è successo, cioè un bel cappottone dopo le prime rare catture solo per aver valutato come “tanta fame” una risposta immediata del pesce alle prime fiondate.

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Allora, cosa si deve fare? Pasturando anche con una certa accortezza si ha come conseguenza il cessare delle abboccate, il non pasturare estende il cappotto anche alle prime fasi della pesca perché il pesce non arriva sotto canna, quindi non c'è che studiare un sistema per attirare il pesce senza, possibilmente, fargli mangiare alcunché o, comunque, il meno possibile.

Facile a dirsi, non altrettanto a farsi, soprattutto in laghetto o cava, dove i pesci sono solitamente carpe e carassi, pesci che vanno “al sodo”, dunque su esche di un certo tipo come mais o bigattini.

In aggiunta a questo, c'è anche l'aggravante che nella maggior parte dei laghetti e delle cave l'uso delle pasture non è consentito. Lo diciamo, perché qualcuno potrebbe pensare di usare della pastura molto fine che, oltre tutto, ha anche diverse controindicazioni. La prima è che la pastura, in inverno, su carpe e carassi non è che vanti grossi successi, la seconda è che, per quanto fine ed impalpabile, i pesci riescono a mangiarla e si sarebbe alle solite.

I pesci delle cave e dei carpodromi anche con i primi freddi mangiano le stesse cose di sempre, ma con molta, molta più moderazione. Il problema è dunque quello di usare le stesse cose, ma in modo da non nutrire i pesci più di tanto. La strategia consiste nel rendere le esche talmente fine da formare una nuvola sapida, una volta gettate in acqua, in modo che sia impossibile per un pesce trovarvi la minima particella solida che gli rimanga sullo stomaco.

Come procedere

Per rendere il mais così fine, bisogna disporre di un frullatore piuttosto potente, soprattutto con un alto numero di giri. Ottimo quello ad immersione.

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Il mais si inserisce nel contenitore così com'è, ma è meglio se si aggiunge anche un po' d'acqua, se quella contenuta nel barattolo non è sufficiente. Questo consente una migliore circolazione delle particelle ed una perfetta omogeneizzazione.

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Possiamo optare per il mais naturale, ma anche per quello aromatizzato e, durante la frullatura, è possibile aggiungere additivi, aromatizzanti o dolcificanti. Con molta moderazione. Siamo ancora in inverno e non è proprio il caso di esagerare.

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Questo procedimento può essere fatto con mais o altri semi cotti puri, ma è possibile ricorrere anche ai mix. Due dei migliori sono quelli ottenuti dalla frullatura di mais nella percentuale dal 60 al 70% con canapa cotta per la restante percentuale e quello forse più efficace è costituito da circa l'80% di mais frullato con il 20% di pellet ben ammollato.

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Come usare la “pappa”

Un frullato che si rispetti deve essere molto fluido, quasi liquido, comunque impossibile da confezionare in palle da gettare in acqua. Non c'è che un modo per usarlo: metterlo in una coppetta e portarlo in fuori facendolo entrare in acqua circa 50-70 cm prima del punto in cui stazionerà il galleggiante.

Per immettere la “pappetta” in acqua, bisogna immergere lo scodellino in modo che si riempia d'acqua e, attesi tre o quattro secondi in modo che l'acqua del lago diluisca il contenuto, girare lo scodellino e farlo cadere. La dissoluzione deve essere pressoché immediata e deve comunque avvenire entro il primo mezzo metro d'acqua, in modo che si formi una nuvola di persistenza non troppo lunga e, soprattutto, che non rilasci niente in superficie.

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Le particelle di cui è composto il frullato scenderanno abbastanza velocemente e formeranno sul fondo un velo leggerissimo ed impalpabile che i pesci tenteranno inutilmente di ingerire. Succhiando a mo' di aspirapolvere, forse qualcosa riusciranno a sentire, ma questo non farà altro che farli “arrabbiare”, stimolarli e, sicuramente, a farli stare sotto canna molto di più che non usando mais intero o bigattini.

Abbiamo detto in altro luogo che in questa stagione i pesci delle cave e dei carpodromi non conoscono che due esche: bigattini (soprattutto) e mais. Poiché la “carne” sembra godere di qualche gradimento in più, forse anche perché le proteine hanno un gradimento maggiore in questa stagione presso i pesci, perché non tentare?

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Quello che vi insegnereremo ora potrà fare anche un po' schifo ai più sensibili, ma vi assicuro che ha un'efficacia devastante in questo periodo. Seguendo la stessa logica che abbiamo utilizzato per il mais, perché non frullare dei bigattini per ottenere lo stesso effetto?

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Diciamo subito che un frullato di bigattini puri non è il massimo. Innanzitutto perché il frullato di queste larve tende ad essere un po' appiccicoso, non si disperde al minimo contato con l'acqua e potrebbe precipitare sul fondo come una palla di pastura facendo più danni della grandine. Il mais ci viene ancora in aiuto in questo caso e frullandolo con i bigattini in un mix al 50% si ottiene una “crema” davvero eccezionale, ma si può fare di meglio.

Prendete 150 grammi di mais e frullatelo con un'uguale quantità di caster. Ne viene fuori una zuppetta niente male che fa davvero impazzire i pesci!

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Attenti al vento

Una sensibile corrente superficiale determinata dal vento può disturbare l'azione di pesca. Osservando quello che accade alla nuvola chiara dopo che si è pasturato, ci accorgeremo che la parte più superficiale va a formare una striscia più o meno lunga a secondo della velocità della corrente.

Si tratta della frazione più sottile della zuppa che è anche la più leggera e, quindi, tende a rimanere più a lungo in superficie. Di solito non si hanno conseguenze perché il pesce è saldamente ancorato al fondo in questa stagione, ma è meglio non correre rischi.

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Frequenza di pasturazione

Andateci con i piedi di piombo. Anche se i pesci ben poco riusciranno a mettere nello stomaco, bisogna pasturare con estrema attenzione centellinando tutto, in particolare se usiamo una zuppetta un po' meno liquida del dovuto perché si vuol evitare la “strisciata” causata da una corrente superficiale.

Normalmente, quello che si deposita sul fondo è talmente leggero che si disperde anche solo per effetto delle turbolenze provocate dalle pinne dei pesci e più l'impasto è disperso e più è difficile da mangiare.

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Soprattutto, non fatevi ingannare da una repentina entrata dei pesci in pastura: meglio attendere qualche minuto in più prima di richiamare che non veder sparire i pesci alla seconda scodellata.

Inoltre, non usate più dell'equivalente di tre o quattro cucchiai di zuppa per volta: meglio richiamare con maggior frequenza che non “affogare” i pesci.

Su tutti i fondali?

La forte dispersione del frullato, una volta in acqua, suggerisce che siano i fondali non oltre i 2 metri quelli che meglio si adattano a questa tecnica di pasturazione, con quelli di circa un metro e mezzo come ideali.

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Oltre questa misura si corre il rischio che correnti anche molto leggere portino la nube di nutrienti fuori dal punto in cui si desidera far stazionare lenza e galleggiante. Con fondali piuttosto importanti, è dunque necessario compattare un po' la zuppetta in modo che lo scioglimento completo avvenga oltre il metro di profondità.

Bisogna essere molto bravi nell'individuare il giusto grado di mollezza dell'impasto, perché se questo dovesse arrivare intero sul fondo, sarebbe lo stesso di aver gettato una classica palla di pastura e tutti i nostri intenti andrebbero a pallino.

Lenza e inneschi

Resta inteso che la geometria di piombatura, il tipo di lenza e di inneschi rimangono gli stessi di una normale sessione di pesca effettuata con una pasturazione “normale”.

Caso mai, nelle giornate più tiepide, può essere valido adottare delle piombature più morbide, quindi effettuate con pallini un po' distanziati, per far scendere la lenza più lentamente di una fatta con il bulk. Questo perché i pesci possono anche essere tentati di salire un po' dal fondo per effetto della nuvola che cade lentamente dall'alto.

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